Auto & concessionari
Inviato: 17 apr 2013 13:26
L'auto è sempre più un bene esclusivamente di consumo ? Confermato !
Chissà quanti di questi concessionari sono (erano) AR ....
Nel corso del 2012 i concessionari che hanno chiuso i battenti sono stati il 7% del totale e sono invece il 41,7% le ragioni sociali perse dal 2002 (quando erano 3.450) ai primi mesi del 2013 (ridotte a 2.011). La fotografia di sintesi che emerge dai dati diffusi oggi a Milano da Quintegia, in occasione della conferenza di presentazione dell'11esima edizione dell'Automotive Dealer Day (in programma dal 14 al 16 maggio a VeronaFiere), è impietosa.
E si completa con le cifre riguardanti la flessione prevista del numero dei punti vendita (nel 2017 il calo arriverà al 71 per cento, scendendo a 4.300 contro i 6.130 del 2002) e della decrescita delle vendite medie per mandato (anch'essi in caduta libera, dai 4.33° di 10 anni fa agli attuali 3.300), che ha visto negli ultimi cinque anni ogni dealer registrare un crollo delle consegne del 40 per cento, passando da 1.050 a 630 vetture.
Dati che rappresentano un'ulteriore conferma dello stato di difficoltà che vive il mondo delle quattro ruote ma che non scoraggiano l'ottimismo degli addetti ai lavori. E in particolare del Presidente di Quintegia (nonché docente di Strategie d'Impresa all'Università Ca' Foscari di Venezia), Leonardo Buzzavo, che allontana il pensiero di un imminente "de profundis" del settore. I problemi, ovviamente, non mancano, a cominciare dall'eccessiva concentrazione sulle vendite delle auto nuove e di conseguenza da una pressione sui margini sempre più elevata.
Buzzavo mette non caso a nudo i limiti del mercato automotive evitando la facile scusante di mercato maturo e parando invece di "strategie mature che contribuiscono a polarizzare un mercato che invece è cambiato". E molto. Dove devono intervenire quindi i dealer, da dove devono ripartire i circa 1.640 imprenditori che stanno dietro alle ragioni sociali che popolano oggi questo mondo, per creare i presupposti di una (difficile, al momento) inversione di tendenza?
La ricetta confezionata dal Presidente di Quintegia è la seguente: "innovare, ri-bilanciare la composizione del fatturato e sperimentare nuovi formati di relazione con la clientela, a cominciare da Internet. Serve un upgrade e un refresh forte, serve presidiare meglio e di più il canale online. Il multimarca è una strada, i dati dicono che questo segmento è in continua crescita sia fra i dealer generalisti che fra gli specialisti e cavalcare questo approccio può ridurre i margini di rischio".
La realtà, intanto, dice che la domanda di auto nuove è anch'essa in forte regressione – del 39 per cento dal 2004 al 2012, con un picco negativo del 47 per cento per gli acquisti dei privati – e che il nuovo rappresenta la principale voce di entrata per i dealer, con un'incidenza sui profitti pari al 56 per cento. Il business generato da usato (11 per cento) e post vendita (33 per cento) per i concessionari italiani, oltretutto, è poca cosa al cospetto di quanto avviene in Germania, dove le consegne di vetture nuove pesano solo per il 26 per cento e i servizi post vendita coprono per contro una fetta del 66 per cento.
L'Italia, questo l'assunto, veste la maglia nera nella classifica del fatturato generato da assistenza e ricambistica – la media profitto dei principali Paesi europei è nell'ordine del 60 per cento – e sviluppa un giro d'affari percentualmente tre volte inferiore a quello di Stati Uniti e Regno Unito.
Pensare, alla luce dei dati di cui sopra, che l'utilizzo dei canali di marketing, promozione e vendita in formato digitale possano cambiare repentinamente la situazione è quasi utopia. Perché parliamo di un settore oggi fossilizzato sulla forte dipendenza dal nuovo e caratterizzato dall'anomalia, ormai non più sostenibile, di sconti medi concessi al cliente sempre più corposi, che i concessionari riescono a sopportare coprendo i costi fissi con le sole componenti di margine variabili e da campagne extra legate a forti incentivi sui prodotti per operatori e consumatori. Come cambiare allora il sistema automotive italiano? E quanti dealer riusciranno a garantirsi una corretta remunerazione, al momento affidata solo ai bonus quali quantitativi, in una fase di forte contrazione dei volumi?
L'imput lanciato da Buzzavo, almeno sulla carta, è quanto mai chiaro: "attivare un processo di cambiamento e di innovazione nel segno delle tecnologie digitali. L'automotive necessita di una contaminazione con altri settori, abbandonando logiche rimaste uniche ed esclusive per anni. Il concessionario, in termini strutturali, è praticamente lo stesso di 30 anni fa e invece deve diventare una sorta di smartphone, evolvendo continuamente ed installando tutte le app necessarie per fare da interprete a valore di un mercato radicalmente trasformatosi".
Chissà quanti di questi concessionari sono (erano) AR ....
Nel corso del 2012 i concessionari che hanno chiuso i battenti sono stati il 7% del totale e sono invece il 41,7% le ragioni sociali perse dal 2002 (quando erano 3.450) ai primi mesi del 2013 (ridotte a 2.011). La fotografia di sintesi che emerge dai dati diffusi oggi a Milano da Quintegia, in occasione della conferenza di presentazione dell'11esima edizione dell'Automotive Dealer Day (in programma dal 14 al 16 maggio a VeronaFiere), è impietosa.
E si completa con le cifre riguardanti la flessione prevista del numero dei punti vendita (nel 2017 il calo arriverà al 71 per cento, scendendo a 4.300 contro i 6.130 del 2002) e della decrescita delle vendite medie per mandato (anch'essi in caduta libera, dai 4.33° di 10 anni fa agli attuali 3.300), che ha visto negli ultimi cinque anni ogni dealer registrare un crollo delle consegne del 40 per cento, passando da 1.050 a 630 vetture.
Dati che rappresentano un'ulteriore conferma dello stato di difficoltà che vive il mondo delle quattro ruote ma che non scoraggiano l'ottimismo degli addetti ai lavori. E in particolare del Presidente di Quintegia (nonché docente di Strategie d'Impresa all'Università Ca' Foscari di Venezia), Leonardo Buzzavo, che allontana il pensiero di un imminente "de profundis" del settore. I problemi, ovviamente, non mancano, a cominciare dall'eccessiva concentrazione sulle vendite delle auto nuove e di conseguenza da una pressione sui margini sempre più elevata.
Buzzavo mette non caso a nudo i limiti del mercato automotive evitando la facile scusante di mercato maturo e parando invece di "strategie mature che contribuiscono a polarizzare un mercato che invece è cambiato". E molto. Dove devono intervenire quindi i dealer, da dove devono ripartire i circa 1.640 imprenditori che stanno dietro alle ragioni sociali che popolano oggi questo mondo, per creare i presupposti di una (difficile, al momento) inversione di tendenza?
La ricetta confezionata dal Presidente di Quintegia è la seguente: "innovare, ri-bilanciare la composizione del fatturato e sperimentare nuovi formati di relazione con la clientela, a cominciare da Internet. Serve un upgrade e un refresh forte, serve presidiare meglio e di più il canale online. Il multimarca è una strada, i dati dicono che questo segmento è in continua crescita sia fra i dealer generalisti che fra gli specialisti e cavalcare questo approccio può ridurre i margini di rischio".
La realtà, intanto, dice che la domanda di auto nuove è anch'essa in forte regressione – del 39 per cento dal 2004 al 2012, con un picco negativo del 47 per cento per gli acquisti dei privati – e che il nuovo rappresenta la principale voce di entrata per i dealer, con un'incidenza sui profitti pari al 56 per cento. Il business generato da usato (11 per cento) e post vendita (33 per cento) per i concessionari italiani, oltretutto, è poca cosa al cospetto di quanto avviene in Germania, dove le consegne di vetture nuove pesano solo per il 26 per cento e i servizi post vendita coprono per contro una fetta del 66 per cento.
L'Italia, questo l'assunto, veste la maglia nera nella classifica del fatturato generato da assistenza e ricambistica – la media profitto dei principali Paesi europei è nell'ordine del 60 per cento – e sviluppa un giro d'affari percentualmente tre volte inferiore a quello di Stati Uniti e Regno Unito.
Pensare, alla luce dei dati di cui sopra, che l'utilizzo dei canali di marketing, promozione e vendita in formato digitale possano cambiare repentinamente la situazione è quasi utopia. Perché parliamo di un settore oggi fossilizzato sulla forte dipendenza dal nuovo e caratterizzato dall'anomalia, ormai non più sostenibile, di sconti medi concessi al cliente sempre più corposi, che i concessionari riescono a sopportare coprendo i costi fissi con le sole componenti di margine variabili e da campagne extra legate a forti incentivi sui prodotti per operatori e consumatori. Come cambiare allora il sistema automotive italiano? E quanti dealer riusciranno a garantirsi una corretta remunerazione, al momento affidata solo ai bonus quali quantitativi, in una fase di forte contrazione dei volumi?
L'imput lanciato da Buzzavo, almeno sulla carta, è quanto mai chiaro: "attivare un processo di cambiamento e di innovazione nel segno delle tecnologie digitali. L'automotive necessita di una contaminazione con altri settori, abbandonando logiche rimaste uniche ed esclusive per anni. Il concessionario, in termini strutturali, è praticamente lo stesso di 30 anni fa e invece deve diventare una sorta di smartphone, evolvendo continuamente ed installando tutte le app necessarie per fare da interprete a valore di un mercato radicalmente trasformatosi".